“Il Nome della Rosa”, di Umberto Eco.

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Due giorni or sono ho terminato la lettura di un libro scelto, con non poca ostinazione, in mezzo a tanti altri: “Il nome della rosa”. Dal momento in cui ho voltato l’ultima pagina a ora, ho pensato molto a cosa scrivere su questo celebre romanzo di Umberto Eco, da cui tra l’altro è stato tratto anche un film per la regia di Jean-Jacques Annaud, e, soprattutto, a come scriverlo.

Sapevo sin dall’inizio che se ne avessi portato a termine la lettura, non sarei stata in grado di scriverne una recensione così come io sono solita fare, obiettiva, ma dalla quale sia possibile desumere il mio pensiero e lo stato d’animo che mi ha accompagnato durante la lettura del libro in questione e, spesso, è rimasto a farmi compagnia anche in seguito: sarebbe stato molto al di fuori della mia portata e delle mie capacità. Quindi, ho optato per qualcosa di più semplice e diretto, che mi permettesse di esprimere, senza timore, la mia opinione.

Era il 2004, anno per me corrispondente all’inizio delle scuole superiori, quando, poco prima delle vacanze di Natale, l’insegnante di italiano consegnò una lista di libri da leggere durante i giorni di festa che sarebbero giunti di lì a poco. Tra essi spiccava “Il nome della rosa”, titolo che mi attrasse immediatamente. Ma, ahimè, riuscii a trovare leggibile solo l’intestazione, appunto. Preferii di gran lunga buttarmi a capofitto nella lettura di “Breve storia della biologia” e “Breve storia della chimica” di Isaac Asimov, pur non essendo queste le mie materie preferite.
Non posso però negare che il pensiero di quel libro all’apparenza così attraente e da me preso e in prestito e restituito dopo la lettura di sole 50 pagine, o forse meno, mi perseguitasse, in un certo senso. Ho provato, svariate volte, a leggerlo, ma il risultato era sempre lo stesso.
Almeno fino a quest’anno. Da me scelto come lettura per inaugurare il nuovo anno, “Il nome della rosa” è finalmente riuscito a toccare le corde giuste.

Finalmente dopo 11 anni ho capito, forse, ciò che per più di tre decenni ha attirato migliaia di lettori. “Il nome della rosa” è un romanzo sublime, di una profondità quasi irraggiungibile, capace di attanagliare il lettore, tra una discussione filosofica e una teologica, e farlo smarrire nella trama di un giallo che altro non è che un pretesto per sondare argomenti ben più fondamentali.
Assieme ai protagonisti ci si perde non solo nel labirinto di libri, ma anche in quello delle idee, delle dottrine, delle filosofie, per poi ritrovarsi alla fine, forse tali e quali a prima o forse no.
I libri indagano anche dentro di noi, i libri insegnano, a volte fanno semplicemente riflettere, altre volte vacillare. Secondo alcuni possono anche far crollare. Possono mentire, ma non possono nascondere. Né ciò che essi sono, né ciò che noi stessi siamo.

“Il bene di un libro sta nell’essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri seni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto”.

Chiara Minutillo

Pubblicata su:

https://letteraturalfemminile.wordpress.com/2016/01/24/il-nome-della-rosa-di-umberto-eco-recensione-di-chiara-minutillo/

2 pensieri su ““Il Nome della Rosa”, di Umberto Eco.

  1. amleta

    Ho preferito di più “Il pendolo di Faucault” sinceramente come lettura significativa mia personale. Ma questo libro è appunto legato ad un periodo anche della mia vita in cui c’era molto di quel medioevo interiore. Quindi non posso non dire di avere un qualche legame con questa storia.

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